A 4 anni di distanza dalla pandemia la politica si interroga su come sia stata gestita l’emergenza, su come si sarebbe potuto fare meglio e su cosa sia andato storto, cercando i responsabili: a riguardo è stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta.La comunità scientifica, invece, si interroga su alcuni importanti insegnamenti da trarre dalla pandemia e di cui fare tesoro per il futuro. Ebbene l’insegnamento principale è che dobbiamo avere fiducia nella scienza: grazie alla ricerca scientifica di una comunità globale che ha saputo fare rete, che ha condiviso in tempo reale conoscenze ed evidenze, si è trovata la via d’uscita, mettendo a disposizione, con una rapidità insperata, i vaccini antiCovid-19.
Ma nonostante la scienza ci abbia tratto in salvo, l’emergenza pandemica ha fatto emergere in modo violento, e per alcuni inaspettato, un pensiero antiscientifico pervasivo, utilizzato come arma di disinformazione di massa, cui una certa stampa e una certa politica hanno ammiccato, che ha alimentato l’anti-vaccinismo e di fatto messo a repentaglio la vita dei cittadini.
Di questo aspetto ne dà conferma uno studio di popolazione condotto in Svizzera durante la pandemia e pubblicato di recente: un maggiore utilizzo di trattamenti cosiddetti “complementari” o “integrativi” o di “medicina alternativa” è risultato strettamente correlato con il rifiuto della vaccinazione contro SARS-CoV-2.
Quindi, uno dei più importanti insegnamenti che si possono trarre dalla pandemia è la necessità di combattere il pensiero antiscientifico con una lotta culturale che impegni la comunità scientifica, le istituzioni sanitarie, il mondo accademico e della scuola. Ma è arrivato il momento che anche la politica faccia la sua parte: il cittadino va difeso dalla disinformazione e, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità, va protetto dalle lusinghe di un approccio pseudoscientifico.
Pensiamo al malato oncologico cui sempre di più si orienta il mercato della pseudo-medicina offrendo rimedi integrativi ma che rischiano di diventare alternativi, allontanando la persona dalla medicina basata sulle evidenze: studi pubblicati hanno già dimostrato come il paziente oncologico che si avvicina all’omeopatia o ad altre cosiddette medicine alternative ha una più bassa sopravvivenza.
Non è un caso che il primo diritto enunciato dal Decalogo dei diritti del malato, ispirato da Umberto Veronesi e approvato dal Comitato Etico della Fondazione Veronesi, faccia un esplicito riferimento al diritto a cure scientificamente valide.
La politica deve dare un segnale: la politica sanitaria deve essere basata sulle evidenze scientifiche. Non esistono prove oggettivamente valide sull’efficacia dell’omeopatia nel trattare qualsiasi tipo di patologia.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità prima di integrare qualsiasi disciplina è necessario validarne l’efficacia.
Nonostante l’assenza di evidenze, in Italia l’acquisto di preparati e prestazioni omeopatici rientrano tra le spese sanitarie detraibili in sede di dichiarazione dei redditi. La Francia, a seguito della verifica della letteratura esistente, ha sospeso la rimborsabilità dei prodotti omeopatici dal 1° gennaio 2021.
In Germania Karl Lauterbach, medico, Ministro della salute tedesco intende abolire la copertura assicurativa per le “cure” omeopatiche, e ha dichiarato che l’Omeopatia non può avere posto in una politica sanitaria basata sulla scienza.
Secondo i dati di Federfarma nel 2020 la spesa per prodotti omeopatici è stata di € 164,5 milioni: è presumibile che una cifra intorno ai € 30 milioni sia a carico della collettività.
L’abrogazione della detraibilità del prodotto omeopatico potrebbe liberare risorse pubbliche da impiegare nella prevenzione oncologica, primaria o secondaria.
Ma soprattutto avrebbe un grande valore simbolico: una politica che, come la pandemia ha insegnato, prende decisioni in accordo con la comunità scientifica, perché difendendo il pensiero razionale si difende la democrazia.